Cuor di Camoscio

Home / Senza categoria / Cuor di Camoscio
Cuor di Camoscio

 

CUOR DI CAMOSCIO

Autore Ruggero Casse.

Collana “Alta quota” altaquota_logo

Cuor di camoscio. Racconti di montagna, racconti dell’alta val di Susa. In queste pagine, frutto della fantasia, emergono i riflessi di antichi mestieri, di valanghe devastanti, di circostanze capaci di travolgere le sorti del quotidiano.
Prendono forma gli echi di guerra, il mondo degli spiriti, l’istinto ancestrale di uomini e animali.
Che si tratti di lupi o di pastori, di boscaioli o spazzacamini: è la montagna a condizionare scelte e destini.
Storie evocate dalla familiarità per questo ambiente, da sempre custodito nel cuore delle genti alpine.

IMG_0220_b

Ruggero Casse, nato a Susa nel 1971, vive e cresce nella piccola e laboriosa comunità di Salbertrand, stretta nel fondovalle tra il massiccio d’Ambin e le scure foreste d’abete. Diplomato all’istituto tecnico “Enzo Ferrari” di Susa, inizia a lavorare presso alcune fabbriche della bassa valle, alternando al lavoro escursioni, arrampicate e sci. Con la scoperta della fotografia, alla fine degli anni ’90 prende a raccontare le esperienze che hanno determinato gli scatti più appassionanti. Poi, tentato da alcuni concorsi letterari, si diletta nella creazione di racconti che, sempre accomunati dall’ambiente alpino, sfociano oggi in questo volume.

Cuor di camoscio.

Dal racconto “L’ISTINTO”:

Stanco delle devastazioni degli ungulati, Albertino aveva già ripristinato la recinzione elettrificata del suo campo più volte, e quella sera decise di appostarsi armato di fucile in attesa che quel maledetto cinghiale si presentasse per l’ennesima volta.
Aveva pianificato di stare in attesa seduto in auto e, per evitare di essere colto durante il sonno, aveva appeso dei sonagli tutt’attorno.
Sdraiato sui comodi sedili, si stava giusto assopendo quando alcuni deboli scampanellii lo misero in allarme. Si sollevò lentamente e sbucò da dietro al cruscotto.
Girata la chiave nel quadro quel tanto che bastasse per dare corrente ai fari, illuminò il campo di patate: al limite del fascio luminoso, sulla destra, una grande sagoma scura puntava immobile verso la luce abbagliante.
Albertino, intorpidito dal sonno, si bloccò a fissare il grosso cinghiale e, impreparato, immaginò di dover attendere paziente che il bestione riprendesse ignaro a farsi gli affari suoi, prima di tentare qualsiasi movimento.
«Adesso ti aggiusto io!»
Muovendosi lentamente, deciso a prendere il sovrapposto sui sedili posteriori per caricarlo con un paio di cartucce a palla, notò con la coda dell’occhio che dietro all’auto vi era un altro animale. Ne scorgeva solo gli occhi gialli che riflettevano il bagliore della scena illuminata dall’auto.
«Che cavolo è?»
Giratosi nuovamente in direzione del campo, si accorse che sul cinghiale si era scagliato con una rapidità spaventosa un grosso cane grigio. Poi sentì qualcosa passare velocissimo tra i cespugli a fianco dell’auto e, improvvisamente, un altro grosso cane grigio si palesò nel cono di luce, diretto come un dardo sull’irsuto ungulato.
Un’azione di una decina di secondi; il tempo che il cinghiale emettesse un paio di stridule grida e già le tre sagome s’erano appiattite tra le rigogliose piante di patate.
L’uomo avrebbe voluto gridare per quanta adrenalina gli si era riversata in corpo.
«Non ci posso credere! Due lupi che fanno fuori un cinghiale…».
E allora, che fare? Spaventare i lupi con un paio di colpi per aria e recuperare il porco? No: era andata anche troppo bene così.
I colpi li avrebbero potuti sentire tutti e, se quella notte le guardie l’avessero scoperto, avrebbe finito di andare a caccia per sempre.
In fondo, il problema “cinghiale” glielo avevano risolto quei due benedetti lupi e a lui non restava che tornare finalmente a casa per riposare. Il mattino seguente avrebbe rimesso a posto la recinzione una volta per tutte.